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Anno Accademico 1996/97: Il discorso inaugurale del Magnifico Rettore
Prof. Fabio Alberto Roversi Monaco
S. Lucia  

Signor Ministro, Studenti, Autorità civili, religiose e militari, Signor Difensore civico, Colleghi Rettori stranieri e italiani, Colleghi e Collaboratori tutti, Signore e Signori per prima cosa voglio ringraziare tutti coloro che partecipano a questa inaugurazione, ed in particolare il Ministro Luigi Berlinguer.

Voglio poi ringraziare i Colleghi che hanno dedicato un impegno spesso assoluto, al governo dell'lUniversità. Primo fra essi, il Pro Rettore Mario Rinaldi, i componenti del Senato Accademico, della Giunta, i Presidi delle Facoltà, i Presidenti e Direttori delle strutture; i Consiglieri di Amministrazione, la dirigenza dell'Ateneo, i tecnici e gli amministrativi, tutto il personale non docente. Il Pro Rettore per le sedi decentrate e le Società di sostegno.

Questo è un anno importante per numerosi avvvenimenti di rilievo riferiti all'intero Paese e alla Università in particolare. Dunque penso sia opportuno anziché enunciare molti numeri, utilizzarne pochi per affrontare tematiche di significativo spessore, rimettendo la tradizionale e ben più lunga relazione, prevista dallo Statuto di Ateneo, allo scritto, destinato alle componenti universitarie, alle istituzioni ed a chiunque vi abbia interesse. Chiedo scusa a chi di ciò potrebbe risentirsi.

Fornirò dunque poche cifre, forse agevolato in ciò dal fatto che la situazione dell'Università di Bologna, puntualmente riportata anno dopo anno, è complessivamente ben conosciuta.

Gli studenti saranno centomila.

Questo è e credo sarà il punto più alto cui, nella sua storia, l'Università di Bologna è arrivata e arriverà, per poi decrescere a partire dall'anno prossimo.

I docenti di prima e seconda fascia sono 1800 con un lieve incremento rispetto all'anno passato.

I ricercatori sono oltre 1000, con un incremento rispetto all'anno passato di ben 126 (tenendo conto dei posti messi a concorso).

Il personale tecnico amministrativo ammonta a 2300 unità, di cui 147 in corso di assunzione.

Il nostro bilancio, faccio riferimento a quello preventivo per il 1997, prevede entrate per oltre 805 miliardi, di cui 130 circa per partite di giro, cui vanno aggiunti 51 miliardi, corrispondenti alle entrate dei Dipartimenti, e spese per 820 circa con un disavanzo programmato di circa 13 miliardi.

Anche nel '97 avremo una notevole massa di denaro impegnato, ma non speso per i lunghi procedimenti disciplinati dalle regole di contabilità pubblica che siamo tenuti a rispettare e che intendiamo rispettare.

Ma voglio dire subito che ove si conosca la disciplina delle procedure di spesa dell'Università, l'esistenza di queste forti somme a disposizione non deve scandalizzare. Essa è temporanea e destinata ad essere assorbita nel corso di questo e dei due prossimi esercizi.

È anche il frutto dell'autonomia finanziaria che ci è stata data e che richiede un'opera di metabolizzazione destinata a durare per più anni.

Attraverso l'autonomia finanziaria abbiamo conseguito maggiori mezzi, pur senza gravare sullo Stato; facendo di più e meglio di quanto non si potesse fare in passato.

L'Università di Bologna ha dunque le risorse sufficienti per programmare il proprio futuro, senza chiedere interventi straordinari, salvo che per i campus decentruti, purché le contribuzioni statali rimangano inalterate e aggiornate al tasso di inflazione.

L'argomentò tocca in primo luogo gli interventi edilizi. Per poterli effettuare in modo significativo abbiamo dovuto accumulare ed i tempi sono diventati lunghi. Il tempo gioca anzi un ruolo perverso, perché le situazioni cambiano o per eventi esterni o per il mutare delle opinioni dei docenti e questo dà l'impressione (talvolta fondata) di incertezze e ripensamenti.

Abbiamo tuttavia conseguito molti risultati e altri ne avremo.

Tra i primi San Giovanni in Monte restaurato, il palazzo di Via Barberia acquisito; i nuovi edifici per Giurisprudenza, il completamento di Veterinaria; tra i secondi il completamento di Giurisprudenza e di Ingegneria nel Lazzaretto, gli investimenti previsti per nuovi insediamenti di Agraria e per il Polo scientifico; la Manifattura Tabacchi, di concerto con il Comune che ringrazio in particolare per la collaborazione.

Ma l'Università non vive soltanto di spazi; essa necessita di personale.

Soprattutto, oggi, di personale tecnico, poiché non ci possono essere laboratori o biblioteche o apparecchiature senza uomini capaci di farli funzionare e di collaborare con i docenti.

Nel bilancio preventivo '97 questa esigenza primaria è stata ben considerata, anche se voglio ricordare quanto sia difficile conservare un'equilibrio, che non è soltanto equilibrio interno al bilancio ma equilibrio rispetto al Ministero. II Ministero, infatti, non accetta, e giustamente ritengo, che possano essere previste spese fisse in misura superiore al contributo consolidato alla data del 31 dicembre 1993.

Di questo non c'è da scandalizzarsi.

Ogni autonomia, infatti, subisce limitazioni, ed è quindi giusto che anche l'Università incontri vincoli nella utilizzazione dei fondi ricevuti dallo Stato. Ma se, utilizzando la ragione, dobbiamo riconoscere i valori dell'indirizzo e coordinamento ministeriale, mi domando, utilizzando la medesima ragione, quali siano i valori che inducono a conservare un sistema assurdo di governo delle assunzioni attraverso le liste di collocamento. E quale sia la ratio di procedure inutilmente complesse in nome di un presunto rispetto del principio di eguaglianza o del principio di trasparenza.

L'intero sistema delle assunzioni dei dipendenti universitari, nel quale si è aperta ora, in base al nuovo contratto di lavoro una possibilità di assunzioni temporanee di cui dovremo fare largo uso, deve essere cambiato.

Così come gli interventi spesso incomprensibili e ispirati ad una visione parziale della realtà, cui ci ha abituato la Ragioneria Provinciale dello Stato, la cui azione sembra ispirata principalmente all'esigenza di non correre alcun rischio, attraverso l'interpretazione comunque più restrittiva possibile delle norme e, dunque, operando di fatto in modo negativo rispetto alle istituzioni.

Recentemente il Ministero ha dichiarato che non intende dare alle Università indicazioni per la soluzione di problemi specifici. Trovo questo sia giusto.

Ma allora le procedure di decentramento devono essere portate al loro compimento. Nessuna istituzione può pretendere di sfuggire a controlli - i revisori, la Corte dei Conti - o di sottoporsi alle esigenze di coordinamento, ma l'Università non può accettare, ora meno che mai, tentativi di centralismo, di cui un esempio è riscontrabile nel disegno legge 1034 con il quale si vorrebbero definire dal centro tasse e contributi uniformi, riducendo lo spazio dell'autonomia ed impedendo di fatto di fornire agli studenti che lo chiedono maggiori servizi in cambio di maggiori contributi.

In realtà proprio gli studenti con i loro contributi hanno dato un senso alla complessiva autonomia universitaria, consentendoci di esercitare la nostra autonomia finanziaria: per un ente erogatore di servizi ciò significa poter interpretare il senso della propria missione ed attuarla.

Come emerge da quanto ho detto finora, dunque, il problema amministrativo rimane tuttora il problema dominante; poiché è inutile accelerare determinate fasi; è inutile assicurare un più puntuale potere decisionale, se poi il passo complessivo è segnato dai ritardi dell'esecuzione, che è quella più immediatamente apprezzabile dagli interessati e dai terzi in genere.

Per Bologna un problema di grande rilevanza è quello delle dimensioni dell'Ateneo.

Ritengo l'esperienza bolognese emblematica.

In controtendenza rispetto ad altri Atenei il numero degli studenti non subisce diminuzioni. In una Regione con 4 Università, di antica e consolidata fama, ed in presenza di nuovi Atenei in Italia, aumentano soprattutto - sono oltre il 41% - gli studenti di altre Regioni.

Il fatto che il nostro Ateneo non abbia subito quelle variazioni in meno che sembrano caratterizzare la generalità degli Atenei, non va collegato ad una nostra incapacità di previsione, ma alle caratteristichhe intrinseche dell'insediamento universitario bolognese, con i suoi campus decentrati, e ai servizi che esso offre agli studenti; servizi che, non bisogna dimenticare, vanno giudicati in termini comparativi.

Ma l'aspetto fondamentale è che il numero degli studenti aumenta solo nei campus decentrati, specie nella Romagna. Questa, ad onta delle affermazioni dei disinformati, così numerosi anche all'interno dell'Ateneo, è una risposta seria e consapevole, anzi l'unica possibile, credo, in questa città ed in questa Regione per ridurre le dimensioni di questo grande Ateneo.

Gli studenti che studiano nei poli decentrati sono ormai numerosissimi. Sono oltre il 20% del totale; e questo è avvenuto in soli 6 anni. Per realizzare questo intervento lo Stato ha speso una cifra pari ad una piccola frazione degli investimenti destinati a Roma III e ad un'infinitesima frazione di quelli destinati a Roma II. Questa dovrebbe essere una buona ragione per riconoscere gli sforzi degli Enti locali e per dare più fondi ai nostri campus decentrati.

Credo che questa - dell'Ateneo multicampus - sia una risposta forte di cui il Ministro vorrà tenere conto, riservando ai poli dell'Ateneo di Bologna un trattamento analogo, anche se per forzato realismo non lo pretendiamo identico, a quello che verrà riservato a Napoli, a Roma.

A questo punto diviene quasi obbligatorio esprimere alcune valutazioni sul numero chiuso.

A mio parere il Ministro ha saggiamente sottoposto a nuova valutazione le iniziative, pur concettualmente giuste, ma per molti aspetti fuori tempo, circa la sua introduzione generalizzata.

L'acme dei problemi derivante dalla mancata regolamentazione delle iscrizioni è stato raggiunto qualche anno fa; gli interventi operati allora e tuttora vigenti erano ispirati a ragioni oggettive: nazionali (settori con eccesso di laureati), sovranazionali (regole dell'unione europea), organizzative.

Ma il numero chiuso non è un problema del nostro futuro; è il problema del nostro passato. È stato introdotto per ragioni impellenti o, talora, perché si è inteso caricare qualche nuovo corso di una connotazione di particolare qualità. Non ne sono stati toccati, tuttavia, i grandi numeri e le grandi Facoltà, come Lettere, Legge, Ingegneria, Economia che presentano caratteristiche omogenee sul piano nazionale.

Il Ministro dunque opportunamente vuole riconsiderare il tutto, anche se non si possono consegnare al caos i nuovi corsi nati, per ragioni oggettive, a numero chiuso.

Gli studenti debbono accettare una limitazione nelle iscrizioni a Facoltà e Corsi nuovi, attendendo che le strutture e i Corpi dei docenti si solidifichino, poiché non si può pensare ad un corso di biotecnologie, di odontoiatria o di interpreti aperto a tutti. L'uguaglianza verso il basso non è l'uguaglianza alla quale ci richiama la Costituzione.

Nello stesso tempo non ogni iniziativa può essere estesa a tutto il Paese, poiché esso non ha bisogno di un numero eccessivo di supertecnici e spesso i giovani sono spinti solo dalla moda del momento. Voglio ricordare che l'Università, pur immersa nella società, deve lottare anche contro il sovraddattamento, vale a dire, l'adeguarsi ai mercati che si modificano, ai bisogni economici mutevoli, all'immediato effimero.

Poiché ogni adattamento all'immediato, se eccessivo, non è un segno di vitalità, ma un segno di perdita di sostanza, di senescenza o addirittura di morte per la perdita delle radici.

Probabilmente si paga anche la qualità scarsa della preparazione data dalla Scuola Superiore; certamente si paga l'indiscriminata apertura degli Atenei, a partire dal 1969-70, e la mancanza di idonei mezzi di orientamento. Quali le alternative?

Un'alternativa possibile è la diffusione dei test indicativi da effettuarsi prima delle iscrizioni. Sono strumenti di indirizzo che garantiscono anche ai giovani maggiore consapevolezza; sono strumenti di riqualificazione degli studi e di graduale programmazione, che debbono estendersi rispetto alle poche Facoltà che ora lo fanno.

Altrimenti dovremo riconoscere che per l'Università vale la regola che l'offerta si deve adeguare sistematicamente alla domanda. Questo non è possibile! Non si tratta di vendere prodotti industriali; si tratta di assicurare l'esistenza e il buon funzionamento di un complesso sistema universitario.

L'orientamento assume allora un ruolo centrale ed è anche uno strumento di collaborazione con cui le Università, impegnandosi a fondo, possono far fronte alla decadenza delle Scuole Superiori.

Una variante opportuna può essere poi quella dell'indirizzo, del vaglio delle capacità, delle maggiori opportunità offerte attraverso l'adozione di strumenti di recupero delle lacune culturali da offrire prima dell'inizio dei corsi. È questa un'operazione possibile, ma lunga e difficile. Più agevole se ad essa se ne abbina un'altra: quella di ridurre il periodo di permanenza nell'Università, puntando ad un post-laurea più incisivo.

Voglio essere più preciso: il post-laurea non è un rimedio che ci induce a puntare su pochi giovani che potranno arrivarci a danno di molti. Il post-laurea non è un rimedio alla licealizzazione delle Università, ma è il rilancio verso preparazioni più specialistiche.

In questo contesto credo che la durata di studi nelle Facoltà dovrebbe essere ridotta, non aumentata, come è recentemente avvenuto.

Sullo sfondo di queste considerazioni sta comunque una maggiore attenzione agli studenti: per accompagnarli, a partire da un momento anteriore alle iscrizioni all'Università, facendoli diventare precocemente studenti universitari in pectore; per ridurre la loro permanenza negli Atenei; per guidarli poi alla loro professione o alla ricerca.

Non possiamo dire che gli studenti sono troppi.

Sono troppi perché rimangono troppo tempo nell'Università e perché il 50% dei nostri laureati per raggiungere il titolo impiega un tempo pari a una volta e mezzo la durata ufficiale dei corsi.

A questo riguardo sottolineo l'esigenza che i criteri di valutazione, pur nel riconoscimento dell'assoluta specificità delle discipline, vengano uniformati.

Vi sono corsi di laurea in cui il 50% degli studenti si laurea con 110 e lode; ve ne sono altri in cui il risultato è raggiunto dall'8% degli studenti. Ciò vuol dire che nell'ambito della stessa Università esistono criteri tanto difformi da legittimare all'esterno incomprensioni e da alimentare possibili disuguaglianze nel mondo del lavoro.

Occorrono uomini nuovi. Occorre ricordare quello che è successo con i provvedimenti urgenti del 1980, quando migliaia di persone, spesso senza avere titoli e maturità sufficienti, furono inserite nei ruoli dei docenti universitari. Occorre evitare che si rinnovi la distruzione di ogni speranza nei più giovani, alla quale allora assistemmo. Occorre sostenere il Ministro nella ferma difesa della necessità di una procedura concorsuale ed apprezzarne il contributo volto ad evitare la provincializzazione degli Atenei.

La proposta che rende necessario trascorrere un congruo periodo di tempo in una Università diversa da quella di origine è norma di civiltà, una volta che se ne disponga l'applicazione per i concorsi futuri, non per quelli in atto.

Oggi ci troviamo di fronte a due circostanze di estremo rilievo: la diminuzione degli studenti e l'esodo di molti docenti dovuto ai pensionamenti. Questo significa che oggi esistono le condizioni per pensare in modo innovativo.

Maggiore impegno per la ricerca, maggiore disponibilità dei docenti, più forte raccordo fra gli insegnamenti, attuazione effettiva del tutorato, in modo da realizzare una complessiva situazione di uguaglianza fra studenti.

Per troppo tempo è stata dominante la tendenza all'autoconservazione e al corporativismo delle categorie, accompagnata spesso dalla chiusura in sé stesse delle singole strutture didattiche e scientifiche. I gravi e crescenti problemi che abbiamo dovuto affrontare ci hanno dimostrato che questa è una strada inidonea a garantire lo sviluppo armonico degli Atenei e che comunque non può essere ulteriormente perseguita per l'esistenza di forti limiti di risorse.

Non posso infine non affrontare l'argomento della ricerca. Voglio farlo ricordando l'istituzione della Fondazione Alma Mater, della Bononia University Press, dell'Institute for Advanced Studies, Osservatorio della Ricerca. Ma voglio farlo anche ricordando questa volta i valori della ricerca pura, senza rinnegare per questo l'esigenza di un apporto alla ricerca applicata. In effetti, più e più volte ho evidenziato la necessità del trasferimento dell'innovazione, in collaborazione con le forze economiche e sociali e con le imprese in particolare.

In molti casi questa collaborazione si è rivelata - essa sì - un'impresa, superiore alle nostre forze. Presso l'Associazione degli Industriali abbiamo cercato efficienza e innovazione, ma negli ultimissimi anni abbiamo trovato molte ingessature e una burocratizzazione superiore alla nostra.

Non resta che sperare per il futuro e puntare sull'energia e la disponibilità di singoli imprenditori. Tra essi voglio ricordare qui la Famiglia Seragnoli, il cavaliere del lavoro Ivo Galletti, il cavaliere del lavoro Ermanno Fabbri.

Emerge da quanto ho detto l'esigenza di un più stretto rapporto con i ] grandi Enti di ricerca, in particolare il CNR e l'INFN, e nello stesso tempo di una rafforzata attenzione a realtà rilevanti, come il Conservatorio e l'Accademia, alle quali ci lega la comune volontà di ridare dignità di luogo di cultura a Via Zamboni, a Piazza Verdi in particolare.

Ma qui mi fermo per rispettare il mio impegno iniziale.

Noi sappiamo bene che l'Università non è, né deve essere un chiostro d'avorio, ma non vorremmo che la sua apparente trasformazione in "magazzino promiscuo e frenetico" fosse definitiva (Crick).

Sappiamo che al tentativo globale di ricerca di una visione coerente del mondo si è sostituito un mosaico di approcci professionali frammentati (Prigogine), ma vorremmo ribadire che in questo momento l'Università ha un ruolo fondamentale nel promuovere una visione meno riduttiva della cultura, nella quale sia le scienze in senso stretto, sia le discipline umanistiche trovino una comunicazione ed un ruolo naturale e nella quale si esprima anche una vocazione sociale dell'Università, così da giustificare per tutte la scritta incisa sul frontone della Università di Heidelberg: "Am Lebendigen Geist"; "Allo spirito vivente".

In questo stesso spirito dichiaro aperto l'anno accademico 1996/97, 909o dalla Fondazione.

 

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