A tale proposito voglio ringraziare per la loro determinante collaborazione, in modo particolare,
il Pro Rettore Prof. Verondini ed il Pro Rettore per le sedi decentrate Prof. Varni; poi tutti i
componenti del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione, i Presidi di Facoltà,
i Presidenti e i Direttori delle strutture, i componenti della Giunta, la dirigenza dell'Ateneo a
partire dalla Dott.ssa Fabbro, tutto il personale tecnico ed amministrativo ed infine le
Società che ci sostengono nel progetto di decentramento romagnolo.
I numeri sono necessari, solo per ricordare la dimensione dell'Ateneo di Bologna, e dunque li
annuncio, ma in termini molto rapidi per poi occuparmi in modo più approfondito di alcune
tematiche complesse ed attuali.
L'Università di Bologna rimane per numero di studenti la seconda in Italia.
Le matricole sono leggermente diminuite percentualmente (1,8%), ma la cifra totale degli studenti
seguita a crescere.
Ben oltre 100.000 sarà alla fine il totale delle iscrizioni, ma con una crescita bilanciata,
poiché il numero delle matricole in Romagna arriva al 20% del totale, mentre in Bologna, salvo
che per la Facoltà di Lettere, assistiamo al mantenimento del livello o, più spesso, ad
una progressiva riduzione.
In questo contesto diminuisce l'importanza degli immatricolati residenti in provincia di Bologna e di
quelli residenti in Emilia Romagna: quasi il 44% degli studenti infatti viene da altre regioni.
Permangono tuttavia, in un quadro complessivamente positivo caratterizzato da una "produttività"
di 55 laureati ogni 100 iscritti, alcuni problemi: quasi il 20% delle matricole non si iscrive al
secondo anno e la metà di questi addirittura non paga la seconda rata. Di qui la necessità
di un rinnovato impegno, anche economico, in attività di orientamento e indirizzo, per consentire
ai giovani di individuare le loro vocazioni.
Quanto al numero dei docenti è aumentato ed aumenterà in modo significativo nel 1998.
È aumentato in modo rilevante soprattutto il numero dei ricercatori a differenza di tutte
le altre Università italiane. La nostra Università è l'unica ad avere attivato
150 posti di ricercatore convenzionato utilizzando sia i contributi del Tesoriere - la Cassa di
Risparmio - che ringrazio, sia una serie di numerose imprese, istituzioni e fondazioni.
Per dare una idea della rilevanza di questo programma in pieno svolgimento, che ha visto e vedrà
entrare in funzione giovani ricercatori pronti ad assumere ruoli più rilevanti a partire dal 2002,
rilevo che per l'Università si tratta di quasi 40 miliardi
di introiti ripartiti in 5 anni.
E la rilevanza economica è ancora poco in rapporto alla rilevanza culturale e organizzativa di
questa iniziativa.
Dal punto di vista del bilancio mi limito a rilevare che l'Ateneo gestisce un flusso di entrate e spese,
tra competenze e residui per oltre 1000 miliardi.
Dal punto di vista normativo l'ordinamento universitario viene ad essere interessato da elementi innovativi
di grande rilievo.
Essi per lo più non sono ancora stati attuati, perché occorrono decreti delegati e regolamenti,
ma la linea della semplificazione amministrativa, della necessità di perseguire l'efficienza e
l'efficacia amministrativa voluta dal Governo è la linea giusta. Sono stati fatti passi decisivi, ma
siamo solo a metà del guado.
Il tentativo in atto in sede centrale di recuperare spazi sottratti dalla legge, distruggerebbe i risultati
ottenuti e ci lascerebbe in un caos istituzionale assolutamente esiziale.
La rete delle normative statali, spesso superate e contraddittorie, ci impedirebbe di funzionare e rafforzerebbe
le tendenze alla conservazione che sono tipiche degli apparati amministrativi quando perdono di vista le ragioni
profonde della loro stessa esistenza.
È certamente vero che il nostro personale ha fatto fronte con numeri pressoché uguali ad un forte
aumento di compiti trasferiti dal Ministero, ma non abbiamo ancora saputo adeguare l'organizzazione alle diverse
caratteristiche dei nuovi compiti. L'intervento su processi decisionali è reso più impellente dai
maggiori compiti che ci attribuisce e ci attribuirà l'autonomia. La maggiore flessibilità nella
offerta formativa e nelle prestazioni di ricerca in una società più complessa, soggetta a continui
mutamenti e fortemente integrata in Europa, richiede una risposta diversa dal passato.
E non si tratta soltanto di meglio utilizzare i docenti. Si tratta di coinvolgere il personale tecnico
amministrativo, valorizzandone le specificità professionali attraverso la condivisione degli obiettivi e
l'incentivazione.
Questa è la sfida principale che abbiamo in atto. Questo significa cambiare procedure radicate e cambiare
mentalità.
L'indagine sull'identificazione organizzativa del personale docente e non docente nell'Università di Bologna
voluta dal Consiglio di Amministrazione ha l'obiettivo di approfondire la comprensione delle attitudini e dei
comportamenti in vista di un innalzamento della qualità dei servizi e di un miglior impiego delle risorse
e delle competenze individuali e collettive. Questo bilancio sul capitale umano dell'Università riflette
la consapevolezza e la determinazione per una azione deliberata diretta a sostenere con varie modalità la
crescita del personale tutto dell'amministrazione a vari livelli.
Voglio concludere questa prima parte della mia esposizione rimarcando l'importanza dell'accordo programmatico con
il Ministero per l'Università multicampus.
Si rischierebbe tuttavia di non cogliere pienamente il senso di tale accordo, relegandolo nel novero delle
operazioni puramente edilizie o di razionalizzazione dell'esistente, se non
ripercorressero le premesse e le motivazioni che hanno portato MURST e Università a concordare su un
programma di tanto respiro.
A partire dagli anni '90 l'Ateneo di Bologna ha sperimentato mettendolo via via a punto, un originale metodo di
presenza sul territorio delle proprie strutture didattiche e di ricerca, in grado di collegare le esigenze culturali
maturate nei diversi luoghi con i circuiti scientifici nazionali ed internazionali.
In tal modo è stato possibile realizzare una presenza diffusa a livello regionale in una molteplicità
di sedi.
Una risposta - questa - alle problematiche poste da un Ateneo destinato dalla ricchezza delle sue stesse proposte
didattiche a subire fenomeni di sovraffollamento, e per altro verso, capaci di connettere a queste urgenze
quantitative progetti qualitativi radicati nel tessuto delle aspirazioni formative presenti nella società.
Non, quindi, un'astratta divisione numerica, incapace di produrre effetti tangibili; bensì un meditato e
progressivo programma, maturato attraverso il confronto continuo con i rappresentanti politici ed economici delle
Comunità locali, tale da portare ad una costante crescita delle iscrizioni nei diversi poli (per un totale
di circa 20 mila studenti) e ad una condivisione degli oneri da parte degli Enti locali, cui va riconosciuta una
grande sensibilità nel cogliere il senso di un programma dalla forte carica di innovazione.
Ora è il momento di definire in modo compiuto il quadro di riferimento organizzativo, per consentire a tale
processo di inserirsi in modo stabile e certo all'interno delle articolazioni decisionali e gestionali della nostra
Università.
In questo siamo confortati dal forte e ripetuto apprezzamento per il modello di decentramento fin qui perseguito,
espresso dall'Osservatorio sull'Università del MURST e dal Ministro, che ne hanno fatto termine di paragone
per quanti intendano perseguire forme di razionalizzazione dei mega-atenei o sistemi di aggregazione di entità
minori.
È, dunque, un momento cruciale per chiamare ad un unitario e partecipato sforzo di elaborazione tutte le
componenti dell'Ateneo che, spesso con una notevole dose di sacrificio personale, hanno consentito il realizzarsi
di questi risultati e che ora avranno - ne sono certo - la fantasia intellettuale per disegnare le linee
dell'Università dal 3° millennio.
Un'Università tanto vigorosa da imporre al futuro incerto che si affaccia, la forza della sua secolare
tradizione; ma proprio per questo disponibile a leggere le necessità del futuro senza fughe in avanti,
al seguito delle mode, e senza indulgenza verso la difesa sovente corporativa del passato.
In questa prospettiva è indispensabile mettere le diverse sedi in condizione di operare con l'agilità
amministrativa, che soltanto una flessibile autonomia dalla macchina amministrativa centrale può assicurare.
Ecco, dunque, delinearsi i tratti fondamentali dell'Ateneo a rete - secondo la definizione ministeriale -, dove
l'esistenza dei tanti nodi della maglia presuppone più capacità di autogestione dei singoli punti,
più ordito e più potere di coordinamento complessivo, così da evitare sovrapposizioni,
duplicazioni, squilibri nell'uso delle risorse scientifiche, umane ed economiche.
L'Alma Mater dovrà avere, dunque, un ridotto centro decisionale per le grandi scelte programmatiche, nel
quale si riconoscano le principali componenti della comunità universitaria, affiancato da un organo di
rappresentanza delle iniziative dei diversi poli, con funzioni di consultazione e di collegamento fra il centro
e le strutture decentrate.
Rilevo che il modello dell'Università multicampus, o a rete, è elemento di dinamismo nella
società e per la società. Esso favorisce il collegamento con le esigenze che la società
esprime, assicura flessibilità, l'aumento delle opportunità, possibilità di corrispondere a
reali esigenze; tutti elementi che certamente sono meno presenti nelle strutture più massicce e comunque
nei cosiddetti megatenei.
Altrettanto rilevanti sotto il profilo istituzionale sono stati e sono i rapporti con il Comune.
Non rintengo sia il caso di autocelebrare l'accordo che è stato fatto per lo sviluppo dell'Università
nel territorio di Bologna, poiché è preferibile che questo avvenga da parte nostra a interventi realizzati.
Ma le idee, i mezzi finanziari, la scelta delle aree, la collaborazione con chi ha il potere e il dovere di
pianificare il territorio, l'avvenuto affidamento in alcuni casi dei progetti di massima, in altri casi delle
progettazioni definitive, in qualche caso, infine, lo svolgimento concreto degli appalti sono fatti concreti e
rilevanti di questo ultimo biennio.
Che si corrisponda in pieno a ipotesi di sviluppo della città condivise dal Comune, è un elemento di
soddisfazione e di forza, poiché l'Università opera nella città e per la città,
oltreché per i suoi fini istituzionali.
Il documento programmatico è, poi, di notevole spessore e non si limita ad una definizione dei rispettivi
limiti di azione ma coinvolge la collaborazione a tutto campo e il perseguimento di obiettivi fortemente comuni,
ora che la scelta di Bologna fra le capitali europee della cultura per il 2000 deve tradursi in programmi, soprattutto
in programmi destinati a durare nel tempo. L'accordo si arricchirà di aspetti, estremamente positivi: la Villa
Guastavillani, come sede dell'Istituto di Studi Avanzati, la biblioteca nella Sala Borsa, la Manifattura Tabacchi ne
sono un esempio. Ne è un ulteriore esempio la realizzazione finale del percorso museale in Palazzo Poggi.
Questo progetto vedrà costituirsi l'unità di quelle Camere delle Scienze che rappresentarono uno dei
punti di riferimento della cultura settecentesca europea e che costituirono uno dei punti di eccellenza che Bologna
ha potuto vantare. In Palazzo Poggi, restituito all'Università nella sua totalità che ricomprende anche
una porzione sino ad oggi afferente alla Biblioteca Universitaria, ritroveranno dunque collocazione le collezioni dei
Musei universitari.
Nel contesto, dell'accordo con il Comune e con la Regione, ritengo debba essere affermata la necessità di un
rinnovato impegno dell'Ateneo per l'Azienda per il Diritto allo studio. Molti sono convinti che l'Azienda sia
dell'Università. Non è così, ma l'Università deve arrivare a condividerne in misura
più significativa gli indirizzi e le responsabilità.
Ma la Regione deve svolgere un ruolo anche nella programmazione delle Università. Non è il caso di
tutelare un'autonomia da scatole vuote, ma di chiedere alla Regione di svolgere un ruolo istituzionale a supporto
dell'Università, dimostrando che l'idea di operare come struttura separata dalla società e dalle sue
esigenze è definitivamente tramontata nel nostro animo e nelle nostre azioni, non soltanto nelle enunciazioni
più rilevanti della Magna Charta.
Quest'anno è stato elaborato con la Regione lo schema di convenzione per l'assistenza ospedaliera nei Policlinici
universitari.
Il documento redatto in Emilia Romagna è stato il modello cui si è ispirato lo schema tipo nazionale.
La Regione ha trovato in noi interlocutori disponibili e ce ne ha dato atto. Vorremmo ora che da parte di tutti gli
operatori, ci fosse la capacità di valutare globalmente le problematiche relative alla salute.
Nel valutare le esigenze di rinnovamento e di maggiore impegno del corpo docente non posso non rimarcare la profonda
differenza che esiste fra quei colleghi che come Presidi, Direttori di Dipartimento e di altre strutture operano
continuativamente all'interno dell'Università senza ricevere alcun compenso ed altre persone ugualmente
commendevoli che emergono all'esterno con le loro professionalità, acquisendo anche posizioni di primo piano,
giudici della Corte Costituzionale, ad esempio.
A costoro, giustamente, vengono dati compensi significativi per il lavoro che svolgono per le Istituzioni, ma trascorso
quel tempo essi ritornano all'Università, trascinandosi dietro i ben più alti compensi a carico dell'Ateneo.
Tutto cio' in forza di un'operazione corporativa che i tempi attuali ci consentono finalmente di respingere. Agli Organi
Accademici della nostra Università, in piena coscienza, non mi sento di proporre che possano essere caricati oneri
di questo genere sul bilancio di Ateneo.
Voglio ancora richiamare anche l'esigenza di una più attenta cura della didattica.
Nel modo di fare insegnamento si sono registrate evoluzioni, metodi e strumentazioni di valore innovativo.
La didattica universitaria non può tradursi nel pedissequo trasferimento di prodotti di mercato confezionati.
Occorre fare ben di più ed occorre farlo perché altrimenti l'intero status dei professori universitari
dovrebbe essere rivisto.
Fare didattica in modo nuovo significa aggiornarsi sistematicamente, autosottoporsi a critica, compenetrarsi
nell'istituzione per soddisfarne le esigenze interagendo con i colleghi e non pretendendo soltanto la stabilità
della cattedra. La cattedra, se non è una costruzione ideale che implica non privilegio, ma più
responsabilità e più impegno, non è nulla. E se nel nostro sistema non è ammissibile che
si voglia fare esclusivamente ricerca, se non per limitati periodi di tempo, non può neppure avvenire che docenti
e ricercatori di certe Facoltà o di certi settori si trovino a sostenere un peso didattico incomparabilmente
superiore ad altri.
Questo argomento sarà trattato presto all'interno del Senato Accademico sulla base di un documento preparato da
uno dei colleghi Presidi ed in questo contesto rientra la necessità di una rinnovata offerta per gli studenti
lavoratori, così numerosi nella Università italiana.
Ci sono le condizioni perché corsi serali significativi e di buon livello vengano svolti in alcune delle
Facoltà maggiormente frequentate. In questa direzione deve esprimersi un impegno rinnovato per consentire
maggiore uso dei servizi che l'Università può fornire, ivi compreso quello delle biblioteche e sale
di lettura, alcune delle quali saranno aperte fino a tarda sera (in particolare la Facoltà di Lettere).
Tutto cio' implica da parte degli studenti il rispetto delle regole del gioco e l'abbandono di schemi mentali che
hanno portato solo a danni, a incomprensioni e, di fatto, ad una riduzione anziché ad un aumento delle
possibilità da parte degli studenti medesimi di utilizzare i servizi universitari.
Voglio insistere sull'attività che l'Università svolge al servizio della società attuando il
fermo richiamo della Magna Charta delle Università alla necessità di fare cultura e svolgere ricerca
ed insegnamento nel rispetto dei grandi equilibri naturali e della vita e nell'integrazione della cultura. C'è
una esigenza diffusa di maggiore spiritualità e vi sono discipline, settori di ricerca, ambiti di indagine che
richiedono maggiore spazio.
L'attenzione deve essere viva nell'affrontare le tematiche religiose ed in questo contesto si situa la volontà
di istituire una libera cattedra con finanziamento esterno per l'insegnamento della teologia, ciò fino a che
l'abolizione di una legge assurda ma vigente non ci consenta un ben maggiore spazio per uno studio che è stato
alla base della nascita e della gloria dell'Ateneo, l'argomento è già stato deliberato positivamente nel
Senato Accademico e nel Consiglio di Amministrazione.
Nello stesso ordine si colloca la disponibilità dell'Ateneo ad inserire nell'ambito del proprio sistema
bibliotecario la biblioteca dell'Istituto di Scienze Religiose, realtà rilevantissima della nostra città,
affinchè esso possa vivere e possa svilupparsi attraverso un accordo che consenta all'Università di
assumere una parte degli oneri ma di compartecipazione a pieno titolo alla gestione.
La realtà è che il mondo universitario è restato troppo a lungo immobile e cieco di fronte
all'evolversi della società.
Dagli studenti abbiamo avuto indicazioni rilevanti, dal mondo esterno richieste fino ad ora non soddisfatte.
L'Università di Bologna in questo contesto deve impegnarsi come sta facendo con il Consiglio Comunale per
affrontare le tematiche della cultura e della formazione dei cittadini extra comunitari e deve impegnarsi a fondare,
utilizzando i propri fondi, risultati che altri possa aiutarci un Centro di Studio sull'Islam, la mancanza di una
reciproca conoscenza può portare soltanto a danni e disastri.
Dall'Istituto Nazionale di Geofisica, presieduto dal Prof. Boschi, giunge una proposta, che dobbiamo accogliere con
assoluta immediatezza, sulla sicurezza sismica, con un ampio spettro propositivo, che investe la storia della
sismicità delle varie aree, il potenziamento delle reti di protezione esistenti e la protezione, attraverso
l'approfondimento delle discipline tecniche, della messa a sicurezza degli edifici e dei nuclei urbani.
È un progetto complesso e attuabile che dovrà coinvolgere la Facoltà di Scienze e la Facoltà
di Ingegneria nella quale l'indimenticabile amico Prof. Alessi aveva creato un nucleo di ricerca sull'edilizia sismica
collegato alla città di Skopije che deve essere potenziato.
La tutela ambientale, compresi i profili giuridici ed etici, nella sua piena completezza, dalla tutela delle acque al
restauro dei beni culturali è un altro settore di assoluta rilevanza. In Bologna ed in Ravenna in questo caso
si sta ponendo mano alla realizzazione di un grande parco archeologico.
Il processo di internazionalizzazione dei mercati, delle tecnologie dell'informazione e del sapere, che sta trasformando
il nostro modo di pensare, di vivere e di lavorare, ci spinge a nuove iniziative e nuove proposte. Fra queste ricordo il
progetto che ci porterà presto all'apertura di una nostra sede in Argentina, nella città di Buenos Aires
per un programma di studio e ricerca finalizzato ad un master in relazioni internazionali, processi di integrazione
regionale (UE e MERCOSUR) e rapporti fra Europa e America Latina.
E possiamo accostare a questa iniziativa la proposta, in fase di avanzata discussione a Bruxelles per un dottorato
europeo di ricerca che coinvolge le maggiori Università europee e che il nostro Governo ha deciso di sostenere
con un impegno specifico nella prossima finanziaria.
Infine il momento della massima innovazione, rappresentato dall'elettronica e dall'imminente accordo che andremo a
stipulare con aziende leader a livello internazionale secondo un modulo di collaborazione carico di impegni reciproci,
del tutto inusuale, in senso positivo, per l'Università italiana.
Ma non sempre l'Università ha avuto una capacità propositiva. In altri settori, e fra questi il settore
biologico e medico, non è stata del tutto all'altezza del suo passato, anche recente, nonostante l'esistenza di
punte di assoluto rilievo.
Eppure un ruolo centrale spetta proprio alla Facoltà di Medicina, che è parte integrante
dell'Università così da renderne non immaginabile lo scorporo, che viene talvolta proposto in termini di
furibonda ostilità preconcetta più che in termini costruttivi.
Il continuum insegnamento - formazione - assistenza - ricerca ha perduto in larga parte il suo non rinunciabile significato.
Una riforma infausta, ha contribuito a questo. La incapacità di reagire delle Facoltà mediche e della
classe medica in Italia, unita all'incremento quasi automatico degli organici, specie ai livelli medio-alti hanno fatto
il resto.
Il rinnovamento passa attraverso la capacità di individuare settori in cui l'Università si impegni a fondo,
rispettando le esigenze della società e le esigenze degli equilibri naturali della vita e dell'ambiente sopra
richiamati.
In alcuni casi questo comporta aggregazioni diverse dal passato, disponibilità a modificare il proprio ruolo,
capacità di mettersi in discussione, in ogni caso implica l'accettazione delle regole che impongono un impegno
prevalente nell'Università, una volontà di aggiornamento, la disponibilità di lavorare in
èquipe in termini sostanziali, l'accettazione di regole di efficienza.
Uno studioso o un ricercatore che si ritiene tale affermando che non debbono esistere per lui problemi di integrazione o
di economicità perché egli svolge ricerca libera e pura, dà la lampante dimostrazione di non essere
uno scienziato.
È in una visione globale che le problematiche della sanità debbono essere affrontate, consapevoli che non
esistono preminenze che non quelle conquistate sul campo, anche se le funzioni fondamentali della formazione e della
ricerca sono, a tutt'oggi, competenza primaria dell'Università.
È fondamentale il riconoscimento del ruolo degli altri medici ed in particolare di quelli del Servizio Sanitario
nazionale pur esso decaduto: non sono diversi né come uomini, né come medici. Hanno scelto strade diverse
per maturare la loro professionalità. Le differenze di vocazione ci sono, e non voglio misconoscerle o ridurle,
ma non possono essere lo strumento per motivare automatiche gerarchie o disuguaglianze nel momento attuale improponibili.
Una grande operazione è in atto attraverso la costituzione di un Dipartimento misto sul cancro ed uno dei
protagonisti di questa operazione, insieme al Preside Bonomini, e ai professori Paolucci, Tura e Grigioni,
riceverà dall'Ateneo un giusto riconoscimento.
Ma altrettanto dovremo fare, in stretta connessione con i medici ospedalieri, non soltanto nel settore dei trapianti
tradizionalmente importanti nel nostro Ateneo, ma nel settore della sanità pubblica, della riabilitazione e
delle neuroscienze. Spinti in questo anche dalla generosa lungimiranza di alcuni privati come la famiglia Seragnoli
o il Cavaliere del Lavoro Ivo Galletti.
La Facoltà medica ha molto da fare e da proporre.
Lo sviluppo delle discipline biologiche, ed il riavvicinamento fra esse e le discipline cliniche, il rilancio del corso
di laurea in odontoiatria e soprattutto l'indagine serrata delle malattie, legate all'invecchiamento, che, conseguendo
quasi paradossalmente, all'acquisita maggiore speranza di vita, rappresentano il problema della nostra società.
Qui siamo spesso assenti sia nella ricerca, sia nell'assistenza, sia nel rapporto con il territorio.
La Facoltà medica ha le forze idonee a superare l'inerzia attuale in questi settori.
E questo richiamo vuole essere soltanto un gesto di forte solidarietà e di piena disponibilità per tutti
coloro che, al suo interno, intendono operare in questa direzione.
Rileva l'UNESCO che per più di un secolo il settore della attività scientifica è cresciuto a tal
punto che sembra avere preso il posto della totalità della cultura.
Per alcuni le linee di forza della cultura si risistemeranno presto, riportando la scienza al servizio dell'uomo. Altri
ritengono che il trionfo della scienza nelle sue implicazioni tecnologiche le dia il diritto di governare tutta la cultura.
Altri ancora, spaventati dal pericolo che l'uomo e la società vengano manipolati se cadessero sotto l'influenza di
questa scienza, avvertono lo spettro del disastro culturale che si delinea all'orizzonte.
Le Università debbono esplicare un ruolo decisivo nel promuovere una visione meno riduttiva della cultura in cui
sia le discipline umanistiche sia le scienze abbiano un posto naturale; in cui la scienza si allontani dalla idea esclusiva
del dominio sulla natura per corrispondere più da vicino a quello che potremmo chiamare un nuovo umanesimo.
Non più intenti discriminatori, non più il pretesto della specializzazione per costruire barriere
invalicabili fra le varie discipline, ma valorizzazione della interdisciplinarietà, che è rimedio ancora
insufficiente a fronte di un male fondamentale quale è quello della disgiunzione culturale che si è andata
radicalizzando all'interno dell'Università.
A questo va aggiunto il duplice rischio rappresentato dalla crescente focalizzazione verso problemi di ricerca a breve
termine, che riducono l'impegno per la ricerca di base, e quello della possibile perdita o diminuzione dell'autonomia
intellettuale dei ricercatori.
La storia migliore delle nostre Università è un esempio di continuità nella scoperta, nella
conservazione e nella applicazione della conoscenza di base, proprio perché le Università osarono riaprire
in anni lontani il dibattito per rimettere in discussione, attraverso le indagini, le conoscenze solidificate.
Sotto questo profilo, proprio per il ruolo che svolge e le aspettative che suscita, l'istituzione superiore deve
predisporsi alla autovalutazione. Se così non avverrà, saranno altri meno benevoli a procedere a questo
esame e a questa valutazione.
Tutto cio' investe, nuovamente, per altro, diverso profilo, il ruolo delle discipline umanistiche.
Uno dei compiti del discorso umanistico è quello di porre in discussione le scoperte della scienza, e più
ancora della tecnica, "in relazione al destino dell'uomo e alla possibilità del vero di diventare sempre, alla
fine, un valore umano".
Come dice Ezio Raimondi, al quale va il mio augurio per l'incidente, pur superato, nel quale è incorso, "forse
l'indagine scientifica ha proprio bisogno di questo confronto, di questo richiamo critico che alla fine, è di
ordine etico".
Sia dunque alto nell'Ateneo il ruolo delle discipline umanistiche, al fine di ricondurre l'odierno presente, che divora
se stesso nella incessante fuga in avanti tecnologica, ad un rapporto con il passato, con la storia, con una memoria
fatta di individui, di istituzioni, di permanenze e di mutamenti.
Così da evitare che la scienza si avviti in una sorta di spirale, dimentica che le leggi del cosmo vanno sempre
considerate in rapporto all'uomo e ai suoi bisogni, ai suoi desideri, alle sue immaginazioni, alle sue costruzioni.
Molto stanno riflettendo i colleghi, d'ambito umanistico e non, su simili problematiche, non certo per reclamare nuove
separatezze, bensì per aiutare l'indagine scientifica ad una analisi critica delle sue scoperte, ponendole in
relazione al destino dell'uomo, alle sue esigenze etiche maturate nel percorso della storia, alle sue prospettive di
convivenza sociale.
Abbiamo il dovere, anche civile, di favorire simili approfondimenti, che rappresentano un momento insostituibile del
dialogo della nostra società con il suo futuro.
Per operare con queste finalità gli steccati disciplinari ed i vincoli posti dalle Facoltà e talvolta
dagli stessi Dipartimenti vanno spezzati in senso costruttivo. Non è accettabile che le esigenze meccaniche di
ripartizione delle risorse si sovrappongano a questo che è il più nobile compito dell'Università
e che può rappresentare il decisivo elemento di stacco dalla morta gora nella quale ci siamo dibattuti negli
ultimi 30 anni.
Un auspicio che l'Università torni a volare come l'Albatros di Baudelaire e che sappia farlo senza cascare in
basso in modo da evitare che altri ne irrida gli sforzi, ne imiti e ne umili il ruolo, ne vanifichi gli impulsi, ne
distrugga la capacità innovativa.
Con questo auspicio dichiaro aperto l'anno accademico 1997/98.